L’ALBERO
lug 03
Termina il 30 set 2019  Evento caricato da Marcello Palermo, Sicilia - Italia

L’ALBERO

Piazza della Casina Borbonica di Ficuzza Palermo, Sicilia - Italia

Il paesaggio, in arte, ha avuto un’evoluzione che, nei secoli, lo ha portato da attore comprimario a protagonista.

L’arte e la pittura di paesaggio in particolare sono i primi recettori del pensiero filosofico, letterario ed economico del momento storico in cui essi vengono realizzati. Che vi siano raffigurate scene mitologiche o agresti o solamente vasti territori, il paesaggio è il testimone primario del mutare dei tempi. In esso ritroviamo spesso quelle componenti simboliche che traghettano il dipinto in una dimensione criptica e molto intima, come se l’artista rappresentasse non più ciò che esiste in natura bensì una mappa personale dell’animo e del pensiero che in esso si rivela; inoltre ha altresì la capacità di nascondere dei codici che se saputi leggere ci danno la veduta d’insieme anche della situazione politica del tempo. Esso risente degli umori e dell’atmosfera del dipinto stesso e si fa musica, base sulla quale intessere un discorso ben più ampio di una semplice rappresentazione descrittiva. Soggetta ugualmente ai capricci della committenza e al gusto dell’epoca in cui essa viene realizzata, la pittura di paesaggio ci aiuta a tracciare un quadro preciso di ciò che siamo mettendoci in relazione con l’ambiente naturale che ci ha generati.

Anche se esso è presente nelle raffigurazioni pittoriche sin dall’antichità (ricordo ad esempio alcuni affreschi rappresentanti dei giardini presenti a Pompei o quelli del Quattrocento che raffiguravano i territori dei signori dell’epoca o ancora nel Cinquecento e oltre gli affreschi nelle dimore nobiliari in cui esso venivano realizzati o come trompe l’oeil o per illustrare i possedimenti del padrone di casa) e noti sono a tutti anche i paesaggi leonardeschi o degli artisti veneti (come ad esempio Giorgione) il primo paesaggio noto come soggetto indipendente in pittura è il Paesaggio con un ponte di Albrecht Altdorfer risalente al 1518 circa. Tutti gli studiosi comunque concordano che la prima realizzazione di un paesaggio classico in cui l’ambiente prevarica e ingloba l’uomo, nel rinnovato sguardo sulla natura vista in modo più ideale e meno descrittivo, si deve ad Annibale Carracci nella lunetta Aldobrandini del 1603 che raffigura La fuga in Egitto conservata attualmente nella Galleria Doria Pamphilij di Roma. Con quest’opera nasce ufficialmente la pittura di paesaggio che avrà eco e fortuna inizialmente con Poussin, Lorrain, Domenichino e Dughet per proseguire con una progressiva considerazione e importanza sino ai giorni nostri. Nel Settecento il paesaggio si continua ad esprimere in forme idealizzate, di ispirazione classica; sono famosi ad esempio i capricci e le vedute ideate. I pittori neoclassici, imitavano la natura secondo precise regole codificate e molti inserivano satiri e ninfe nei loro dipinti. Eppure in pieno “Grand tour” il paesaggio muta nuovamente. Ricordo che fu l’epoca del vedutismo Canaletto, Bellotto. (sono famosissimi gli acquarellisti come Houel che ci hanno lasciato degli esempi mirabili di paesaggi non più ideali bensì descrittivi). Ricordo in questa occasione anche il paesaggio Romantico in cui particolare attenzione era data al sublime insito nella natura stessa e si ebbero artisti intensi come in Germania Freidrich e in Inghilterra Turner che fu probabilmente il pittore paesaggista per eccellenza e traghettò questo soggetto nell’era contemporanea dando lo spunto a tanti altri artisti che lo seguiranno. Nell’Ottocento la pittura di paesaggio subisce un’altra svolta data in Francia dai pittori della scuola di Barbizon ai quali seguiranno gli impressionisti e in Italia i macchiaioli e tutta la tradizione dei paesaggisti napoletani e siciliani.

La nuova visione “ecologica” del mondo e un rinnovato sentimento verso la natura portò gli artisti, come tutti ben sappiamo, a dipingere all’aperto cogliendo tutto ciò che di meraviglioso costituiva il mondo. Non essendo più realizzati all’interno di un atelier ma en plein-air, i loro dipinti si nutrivano anche del chiacchiericcio della gente, del profumo dei fiori, della calda carezza del sole. Un quadro, in questo modo, non rappresentava più soltanto una scena (che in verità serviva solo da pretesto), ma uno spaccato sensoriale del mondo.

Come scrive, Michel Maffessoli nel suo libro Ecosofia: “…Impressione, levar del sole di Monet (1874), che darà il nome a tutto il movimento, mostra bene come non si tratti più di porsi di fronte a, bensì nella natura che si tenta di descrivere. […] …si tratta di un’atmosfera luminosa che rende attenti alle palpitazioni e alle metamorfosi costanti proprie della matrice naturale da cui siamo nati.”

Pittoricamente posti tra il realismo e naturalismo, essi indagarono sia il contesto sociale nel quale operarono sia, come abbiamo già accennato, l’aspetto naturalistico-scientifico e fu proprio lo studio attento della natura, difatti, che li portò a comprendere che ogni cosa, in natura, muta e fa parte di un tutto (il concetto di natura naturans, in passato lo troviamo presente sia nei dipinti di Leonardo da Vinci sia in alcuni studi di Giordano Bruno e Baruch Spinoza).

Goustave Courbet, Claude Monet, Edgar Degas, Paul Cézanne, Pierre-Auguste Renoir, Alfred Sisley, Camille Pissarro, Edgard Manet, Frédéric Bazille, Furono, altresì, attenti osservatori della realtà (come accennato prima) disgregandone la parte oggettiva, fatta di concretezze e semplice forma, per addentrarsi all’interno di un sistema ben più ampio. Essi cercarono l'essenza della vita stessa, quella che travalica le apparenze tangibili. Friedrich Schelling; nel suo libro Sistema dell'Idealismo trascendentale così affermava: “… Accade perciò che quanto più nel campo della natura stessa balza fuori la legge, tanto più si dissipa il velo che l'avvolge, gli stessi fenomeni si rendono più spirituali ed infine spariscono del tutto. I fenomeni ottici non sono altro che una geometria, le cui linee sono tracciate per mezzo della luce, e questa luce stessa è già di dubbia materialità.”

Mutano i tempi, muta nuovamente il paesaggio e non si può non parlare dei dipinti di Van Gogh. Il suo Campo di grano con volo di corvi o Una notte stellata solo superficialmente rappresentano dei soggetti di natura ma in realtà essi sono la trasposizione di un paesaggio interiore; da questo punto di vista potremmo definire i campi di questo artista i primi lavori espressionisti della storia che poi sfoceranno nel Novecento nei lavori dei fauves per poi, dopo essere passati per i dipinti cubisti di Cezanne, disgregarsi e divenire astratti con Klee e Kandinski. In epoca moderna il paesaggio muta ulteriormente. Se ad esempio col futurismo, il paesaggio era stato messo da parte e la cultura antropocentrica tornava ad essere prepotentemente presente, successivamente il gruppo della Scuola Romana e di Corrente riaffermeranno lo spirito vivo e concreto del paesaggio. Questo diventa anche urbano (cosa che già si era cominciata a vedere con i pittori impressionisti) e le atmosfere si fanno più cupe. L’abbandono o diffidenza verso la natura, frutto di un’epoca industriale e tecnologica, inevitabilmente porta ad una stasi nella pittura di paesaggio. L’uomo è tornato ad essere il solo protagonista della scena, quasi non fosse più un essere di natura. Le individualità prevalgono sull’insieme e noi non ci sentiamo più parte di questo nostro mondo che continuiamo, quotidianamente, ad avvelenare.

La mostra ospitata all’interno della casina di caccia di Ficuzza, vuole dare un’altra chance ad una pittura che oggi sembra relegata nuovamente al ruolo di comprimaria, laddove non sia proprio presente.

In mostra paesaggi, in cui la quiete predomina, si scontrano con altri (ad esempio quello di Antonella Affronti) in cui la lotta tra l’uomo e la natura si fa aspra, come se uno dei due dovesse stoltamente soccombere. Il paesaggio classico campestre di Elio Corrao si perde in una notte di luna piena che avvolge e protegge ogni cosa (uomo e natura stessa che tutto ingloba, come nell’opera di Aurelio Caruso).

La mostra è una riflessione ecologica ed ecosofica sulle assurdità di questo nostro mondo che giornalmente tentiamo, con gran stupidità, di distruggere. E mentre la tempesta lascia il posto alla quiete, la pittura tenta di rigenerarsi offrendo nuovi spunti per ricominciare una nuova vita.


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