fabio ciceroni

MITE RICONQUISTA DELL?UNIVERSO Uno svelamento di armonie preziose. La gioiosa pienezza con cui Elisa Nesi manifesta una totale fraterna empatia con la natura ne fa uno dei pochi esseri capaci di meritare la propria nascita in un tempo, come il nostro, ormai pago della propria assuefazione ad un mondo senilizzato. E? una di quelle artiste favolose di cui sembra essersi perso il seme da tanto. Ma che va scovata e come difesa da una disarmante modestia che sino ad oggi ha tenuta segreta la sua pittura, anche se carica dell?amore di quei pochi che hanno avuto la buona ventura di conoscerla. E?, la sua, un?arte finalmente uscita dal bozzolo della sua ritrosia come farfalla, tanto che al primo stupefatto sguardo appare volare spontaneamente alta sopra mode e correnti che come serpi si rincorrono tra loro sulla terra fino a mordersi l?una l?altra la coda. Perché Elisa possiede un orto nativo da coltivare, fuori del quale si sentirebbe smarrita. Non un orto concluso, quanto piuttosto spalancato a raccogliere i frutti di una cara intima mitografia entro la quale gli stessi fiori ed erbe ed alberi ed uccelli, gli stessi cieli e nuvole e voli e sole restano gli stessi. Fedeli al suo miracoloso crearli dall?infinita varianza di una ricchezza spirituale slimitata. Entro questi suoi referenti familiari riesce a sprigionarsi un?energia creativa che vive in sognante dimestichezza con una luminosa geometria spaziale, che è sentimentale prima ancora che figurata nelle sue metaforiche coperte a quadri. Perciò bisogna oltrepassare il diaframma di una suadente iniziale tentazione di naiveté, per avvedersi che tanto coinvolgente ? e sapiente ? tripudio cromatico dai caldi toni autunnali, che tanta sinuosità di segno e che tanto miracolosa gemmazione di luce sono indizi di un?infanzia non infantile. Piuttosto di un?infanzia perduta del mondo, di una nostalgia di Dio per il mondo com?era prima che lo creasse. Prima che fosse de-finito e perciò poi destinato alla sua invincibile corruzione. Verrebbe da ricondurre gli esiti di questa incontrastabile opera di recupero di una ingenuità ritrovata ad un atteggiamento di creaturalità francescana, se il termine non fosse stato stravolto e più volte violato per le più diverse convenienze. Ma qui vale per quel saper far corrispondere senza percepibile sforzo una germinale purezza con una verità profonda. La primigenia limpidezza delle creature con la loro essenza di bellezza. E? come la riproposta umile ma resistente dell?onestà della terra e degli esseri su di essa vivi e presenti in un patto di intensa amicizia con la creatura umana. Che è innanzitutto donna alla ricerca della propria originaria enigmatica alterità (Io come albero), donna che sa maternamente abbracciare il creato, dal filo d?erba all?uomo, perché ? come dice il poeta ? tutti i sereni animali avvicinano a Dio perfino gli umani che se ne vogliono allontanare. Ed allora da questi quadri, mai ancora offerti ad un?esposizione, promanano atmosfere assorte e terse, interiormente consapevoli del dramma quotidiano del vivere ma qui trasvalutato in una compiuta letizia pur sempre sospesa tra tenera ironia e pungente nostalgia. Da ogni dipinto si attinge il senso di una contemplazione dinamica del proprio uscir da sé che s?immerge panteisticamente, senza più riserve oppositive, nell?intensa consonanza con gli altri esseri. In un paradiso terrestre portentosamente riconquistato grazie ad una soave caparbietà tutta femminile. Elisa Nesi rivela perciò una forza che fa dislagare le sue immagini da un cosmo che pare quasi precederlo, dove per una sovrana intercessione astrale il sogno ed il reale dormono nella stessa casa, là sulle colline alte del suo Mugello. La loro carica di poesia è di così accorta nettezza, di così gentile splendore nelle sue perentorie campiture, nel suo bisogno reiterato di fornire uno stabile piedistallo a chi può ancora stupirsi dell?universo, che ci fa un po? tutti vergognare della nostra fiera pochezza di contemporanei. Volevamo paradisi in terra? Stiamo solo producendo inferni nuovi. Ci occorreva dunque una pittura mansueta e sapienziale come questa, dovuta ad un?anima che sa restituirci perdute armonie in un accordo altrimenti oggi introvabile. Senza tormenti visibili, ma con la grazia di chi ha il dono d?inventarsi il linguaggio che pesa le forme dell?intelligenza ed i momenti del cuore con la levità di ogni immagine rappresentata. 30 ottobre 2007 Fabio Ciceroni
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