Prof. Marcello Ippolito Docente dell'accademia delle Belle Arti Lecce

FRANCESCA COLITTA E LA PITTURA DI PAESAGGI

Nella Storia dell’Arte italiana, e non solo, i pittori di paesaggio, meglio conosciuti come vedutisti, hanno occupato ed occupano tutt’ora un posto importante. Dal Settecento ad oggi tra i grandi ricordiamo principalmente Canaletto, Guardi, Bollotto, Marieschi, ritenuti a ragione i protagonisti della pittura veneta del tempo. Tra il Cinquecento e il Seicento questo genere non godette di particolare attenzione, ma agli esordi del Settecento Venezia fu la più interessata per via di quanti compivano il “gran tour” italiano visitando le nostre città. Da qui il processo narrativo di un viaggio, di un incontro, traeva appoggio dalle immagini dipinte su tela, che divennero un genere a se. Nell’Ottocento, oltre ai Macchiaioli italiani anch’essi contaminati a sufficienza ma con obbiettivi diversi, altri pittori seguirono questo genere come il vicentino Bagnara, il trentino Bezzi, il friulano Bison e il veneziano Borsato. Agli inizi del Novecento il vedutismo perde vigore per l’affermarsi delle Avanguardie che trovano le premesse motivazionali a cavallo tra questo e il secolo precedente e che, con Cezanne prima, Picasso e Braque poi, offriranno al mondo quella novità linguistica che sconvolgerà l’arte europea tra il 1905 e il 1925. Le conseguenze le riscontriamo anche adesso perché il Cubismo aprì le porte ad un’arte meno compiacente e più complicata, ma carica di significati, come ad es. la pittura concettuale, ancora in buona salute. E la pittura di paesaggio? Nell’ottica contemporanea sono riscontrabili una serie di soluzioni sul tema del paesaggio proprio con l’approccio neonaturalistico novecentesco, in particolare con il Movimento Italiano Pittori Paesaggistici. Tutti pittori, come ci conferma il critico Andrea Diprè, che si riconoscono nella pittura di paesaggio con un’ampia gamma di soluzioni. In questo clima contemporaneo, culturalmente solido e ricco di contenuti, s’inserisce con forza e determinazione l’opera pittorica di Francesca Colitta. Pittrice che con il suo linguaggio estetico interpreta efficacemente la peculiarità della nostra terra; di essa evidenzia, senza alcuna retorica, la bellezza e la semplicità del mondo rurale, ma anche la sua asprezza e durezza che viene rivendicata attraverso i toni forti dei cromatismi. Rievocazione del lavoro rurale e delle fatiche quotidiane ma, a volerla dire tutta, anche delle lotte contadine di terra d’Arneo che videro come protagonisti i braccianti agricoli dei quali Giuseppe Di Vittorio rivendicò la dignità storica, umana e civile. Terra rossa in cui insistono da sempre gli ulivi nervosi sormontati da chiome generose di alterni raccolti di oro verde. E poi vecchi rifugi di pietre, i trulli poveri del Salento, che spuntano dal suolo e rievocano antiche solitudini di fatica ma anche di folclore. Così vuoti questi paesaggi dipinti, eppure tanto vivi e carichi di significati che, come per incanto, a guardarli, si popolano di figure desuete ma ancora presenti tra storia e memoria. La pittrice Colitta si spinge oltre l’entroterra verso altre cosidette “bellezze nostre”, verso cioè la marina mediterranea ripresa nei suoi tratti più significativi rappresentati dalle torri costiere fortificate che rievocano epoche turbolente tra Oriente e Occidente. Ma anche dalle spiagge dunose deserte ed incontaminate – senza però intensioni ecologiche – con l’atteggiamento dell’artista che le rispetta, le ama e le testimonia. In Colitta vi è quindi l’omaggio alla perfezione della natura tra toni forti e andamenti cangianti tenui e delicati che tingono i prati costieri in contesti scenici suggestivi. Care, fresche, dolci acque, ci verrebbe da dire, al cospetto del mare cristallino di alcune opere. L’Artista documenta anche vedute tipiche, come le conosciutissime “Quattro Colonne”, elevate ormai a simbolo indiscusso di quell’angolo di costa salentina tra Santa Maria al Bagno e Lido Conchiglie. In quest’opera vengono messi a fuoco passato e presente, con un’armonia compositiva che per molti verso fa scuola di paesaggio per l’equilibrio formale, la scelta dell’inquadratura del soggetto, la ricerca e la soluzione cromatica. L’opera di Colitta non finisce qui perché alle tematiche descritte se ne aggiungono di altre che omaggiano e ricordano la pittura botanica e il disegno naturalistico, tanto ben rappresentato dalle opere “Lilium auratum”, “Rose bianche”, “Ranunculus”. Tra ricerca estetica e un certo rigore scientifico, l’Artista si concede al mondo vegetale attraverso forme e colori, che per morbidezza, ritmo delle curve delle foglie e compostezza compositiva ci trasformano il dato reale in pura bellezza. Un omaggio anche ai pittori botanici attivi già nei tempi antichi, come ci ricorda Plinio il Vecchio (61-113 d. C.) nella sua opera Naturalis Historia. La ricerca botanica trova la sua sintesi nel “Prato in fiore”, dove appare concentrarsi tutto il vigore primaverile della natura che nell’opera domina incontrastata i tre quarti della scena, rafforzata anche dalla linea d’orizzonte altissima. Questo immenso prato sarebbe apparso quasi irreale, tanto si presenta suggestivo, senza le quinte di alberi inserite ad arte ai lati superiori. Francesca Colitta è un’artista che si misura continuamente con la natura, al fine di capirla ad interpretarla secondo un codice estetico che rimanda al genere paesaggistico con il quale si riconosce e all’interno de3l quale rappresenta un tassello tanto importante quanto significativo.

                                                                                                                               Prof. Marcello Ippolito


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