Testo critico di Paola Simona Tesio- rubrica: A caccia di talenti

L'arte di Gianni Marrone è perfettamente aderente al reale, si sveste di ogni abito effimero, coglie il nocciolo dell’umano, situato nell’acido del suo contesto; non lo ritrae santificandolo o caricandolo di bellezza, ma lo spoglia restituendolo nudo: vile, banale,codardo… La sua pittura sembra uscire dalla trattazione di Kasimir Edschmid (pseudonimo di Eduard Schmidt); nel saggio del 1919 “Uber den Expressionismus in der Literatur und die neue Dichtung” aveva scritto che per cogliere l’essenza originaria di uomini e sentimenti occorreva: «una configurazione realmente nuova del mondo dell’arte; era necessario costruire una nuova immagine del mondo che non fosse solo un campo di esperienze come da parte dei naturalisti, né avesse a che fare con lo spazio spezzettato impressionisticamente: bisognava invece che possedesse una sua semplicità, e fosse bella per questo. Gianni Marrone davanti allo strazio non si volta dall’altra parte. Il suo stile né è scagionato, anzi è un atto dovuto, è un rischiaramento delle coscienze sopite: non è indifferente all’orrore che lo attornia; ciò che dipinge gli si agita dentro, gli fa male, lo ferisce e non può rimanerne inerme. I sui dipinti esprimono, alla stregua dei grandi pittori della “Nuova Oggettività”,movimento d’avanguardia costituitosi tra il 1923 e 1924, tutto il fervore di quello che potrebbe definirsi “Espressionismo realista” carico di disperazione, collera, risentimento, vivido di quella positiva rabbia che conduce ad un vero e proprio “rivoluzionario rinnovamento estetico”.Non la grazia ma il ritratto degli ubriachi, di inumani (o meglio antiumani),di suicidi ed assassini, di prostitute e di uomini vogliosi, di esseri “svuotati” che vomitano, oltre ai contenuti maleodoranti, le loro viscere interiori ormai malate. Delinea il caos morale, la violenza, i delitti, l’ignavia. Lo fa con un tratto tutto suo, uno stile splatter che non ha bi-sogno di ricami, che è inequivocabilmente vero. Compaiono alcune reminescenze del grande George Grosz che vide e tratteggiò “l’inferno ed il paradiso” del mondo con estrema abilità, rifacendosi talvolta ai graffiti presenti sui muri delle metropoli oscure. Lui stesso, di quella sua “aura rabbiosa”, ci lascia una lucida testimonianza: «per ottenere uno stile corrispondente alla bruttezza e alla crudeltà dei miei modelli, ho copiato il folclore degli orinatoi, che mi sembrava l’espressione più immediata, la traduzione più diretta dei sentimenti forti … E così ho fatto riguardo ai disegni dei bambini, a motivo della loro sincerità. Mi sono fatto così quello stile incisivo, quel disegno a punta di coltello di cui avevo bisogno». Anche Gianni Marrone osserva, con uno sguardo simile, la vita. Con tratto altrettanto lacerante sonda la realtà e dice: «solo gli animali e i bambini sono puri perché sono senza peccato». Uno stato d’animo che ben si percepisce in alcune opere in cui cerca di imitare il segno infantile dei disegni per codificare questo messaggio. In “Gli sfrattati”, a differenza dei genitori, il bimbo ed il suo cucciolo sono delineati con pennellate più lievi. In “Indifferenza” si evince la scenografia di un mattatoio dove un bovino viene brutalmente accoltellato sotto gli occhi di un uomo che legge il giornale. “Il vicolo” invece ritrae il sentimento di abbandono di un cane,che incarna anche quello dell’uomo. Sempre sul tema della solitudine sono immortalati due adulti che si dilettano con i loro vizi (resi nella pittura attraverso il fumare ed il bere) mentre una bambina compare di spalle; se ne percepisce una sorta di desolazione; oppure in un altro dipinto il barbone con il suo cane, solo nell’indifferenza dei passanti, è connotato da tratti autobiografici che compaiono altresì in molte tele. In “Il troppo e il niente”, un uomo grasso mangia avidamente un panino di fronte ad un bambino denutrito, figlio dei paesi in via di sviluppo. Sorprendente è la tela “La classe politica”, dedicata, appunto, alla cattiva amministrazione pubblica: uno spaccato della nostra società, un quadro che è la vera immagine di un tessuto ormai sempre più squarciato e corrotto. Pochi artisti avrebbero avuto il coraggio di realizzare un'opera così... Andrebbe esposta in parlamento per ricordare i tanti vizi e le ben poche virtù. È un quadro che riprende uno spaccato storico: è lo specchio di un'epoca in completo arresto, statica, che potrebbe evolversi in due tragiche direzioni: la prima prevede l'annientamento delle coscienze ed il controllo delle masse (anche attraverso l'instillazione dell'abitudine che costringe a percepire normale ciò che non lo è affatto) e l'altra la guerra civile... Entrambe queste ipotesi costituirebbero un fallimento. Quella che viene riprodotta, a tinte accese e dai toni forti, è una terza via, cruda se vogliamo, poiché è un'immagine che contiene un rischiaramento. Sul tema del malessere, della corruzione e della mercificazione, fanno parte anche i lavori “L’Italia” e “Soldi”, quest’ultimo raffigura un organo genitale femminile da cui fuoriescono banconote “sporche”. Altro quadro intenso e d’impatto è “Van Gogh”, dedicato a tutti i pittori che soffrono, e che pare essere soprattutto un autoritratto: la smorfia lancinante del viso, l’espressione di sofferenza e sconforto, incarnano appieno il sentire di Gianni Marrone: «In molti dicono che si divertono a dipingere....certo che è divertente; ma fare arte è tutta un'altra cosa.... ti struggi l'anima, soffri, vedi la luce ma anche le tenebre; a volte ti senti perduto, incapace, sei costretto ogni volta a guardare nel tuo più profondo. Ogni volta è una battaglia con l'opera, la quale devi affrontare anche se vorresti fuggire....a differenza di chi dipinge, l'artista non è mai soddisfatto, e mai lo sarà! Il pittore sa sempre cosa dipingerà, l'artista non potrà mai saperlo esattamente; perché non si può dominare la propria arte». La sua è un’estetica cruda, dura, che parla dei drammi del mondo, ma è non fine a stessa, sterile, laccata: è utile all’uomo. È una verità non mistificata quella che emerge dal supporto: donne che abortiscono, il dolore delle madri. In alcune sinuosità femminili, come nell’opera “La vita al tramonto”, emergono richiami a “Le grandi bagnati” di Paul Cezanne o ai nudi di Gauguin. Ne “Il termine ultimo della ragione” è intessuta, nelle pennellate audaci e veementi, un’orgia di abusi perpetrati nei secoli. In “Violenza moderna” un sapiente uso del bianco e nero enfatizza la scena della brutalità che si compie quotidianamente sulle donne con la compiacenza di chi vi assiste; il cielo si carica di un cromatismo rosso e dal sapore rugginoso del sangue. “Mondo Virtuale” è una constatazione ironica di quanto accade quando ci si disperde nei meandri dei social network: famiglie distrutte da odio e gelosia per “approcci simulati” fingendo ingenue comunicazioni sulle chat. “Sguardi” riguarda le occhiate meschine che spesso ci si scambia nella società, come l’invidia che trapela tra donne ritratte impegnate nella seduta di fitness. Una fanciulla dai grandi occhi è invece delineata con espressione alienata e sbigottita: permane qualche bagliore di dolcezza che s’intravede ancora, residuato ultimo di un’innocenza perduta. Ogni sua pennellata è d’impatto, genera terrore, sconcerta. Gianni Marrone è giustamente adirato con ciò che d’ingiusto lo circonda e combatte con l’arma dell’arte che pungola le menti assorte, malate di quel male banale che rende miopi e complici. Del resto il compito di un intellettuale è anche quello di anticipare, di destare, di proiettare una visione che è uno svelamento. Riesce a metamorfizzare i corpi, deformare i paesaggi, dando evidenza ai particolari con una mimesi maniacale; emergono così, con cruda enfasi, i tratti brutali, visionari, esasperati, contorti. Il suo occhio ci restituisce la fissità dell’orrore: è irriverente il suo sguardo, è truce, ma è inevitabilmente e sentitamente vero poiché, nel tragico, il suo segno, tracciato talvolta anche con le mani, sonda le profondità più purulente delle ferite. Egli ci restituisce il dramma umano di un’epoca raccontato attraverso i personaggi del quotidiano ritratti con intensa profondità, scolpiti con passione, smascherati. Coglie l’intima sostanza dell’individuo e della collettività, ne traduce gli spasmi e l’angoscia. Se Munch è stato colui che per primo ha restituito un’immagine sconvolgente sostenendo che: «l’arte emerge dalla gioia e dal dolore, mag-giormente dal dolore», Gianni Marrone ci insegna qual è il vero colore dell’anima: «sono andato sulla carta e ho buttato su di essa la mia rabbia e delusione. Ci domandiamo spesso cosa sia arte; quando butti tutto quello che hai dentro di te, la tua anima, quella è ARTE!». Tutto questo si traduce in un’immagine che ha il diritto di passare alla storia con la stessa potenza dell’urlo di Munch, e ciò si evince nel ritratto “La tua anima”. Quello che ci disgusta è l’effettivo vero: sconce fattezze trasbordanti, volgarità che ripugnano ledendo volontariamente il finto “buon costume”, l’istinto bestiale che diviene manifesto atto d’amore consumato fra gli amanti… questi esseri manchevoli e viziosi…siamo noi.
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