Elisa Spanevello

Dove finisce il mondo?

Su Giannino Scorzato a cura di Elisa Spanevello

Il mondo di un tempo finiva dove lo spazio terminava, dove il limite non gli consentiva di divenire luogo, finiva in un’eclissi. Oppure finiva dove terminava un sentiero, sul picco di una scogliera o nel profondo buio di un pozzo. E quando non fu il mondo fisico a predominare, allora finiva nella miseria e nel vizio di un girone dantesco e nell’ignoranza, nella finitudine umana della guerra. Sta oggi realmente finendo il mondo, in Patagonia, la dove i ghiacciai sciogliendosi del mondo nostrano il vero nemico: l’uomo stesso.

E il mondo di Scorzato? Dove finisce quel suo senso artistico del dimorare? Fin dove può costruire ambienti per ospitare incontri? Oso dire: sulla sagoma di una montagna: Un margine che tutto ingloba e raccoglie, un Habitat naturale dove l’autore vede e colloca disinvolto, ascoltandole appassionato, le proprie creature. Da loro una voce differente da quella originale: le fa parlare in bianco e nero.

Rigorosi e puliti come la montagna, non sembrano affatto finire gli infiniti segni grigi, eppure anch’essi paiono un limitare, un contenere, un trattenere…. Un estro che se tinto di colore sovrasterebbe tutto e tutti, creature e artista compreso. Montagna che va affrontata con umiltà, con rispetto, preparati fisicamente e mentalmente; serve forza per aggrapparsi con mani e ancor più con i pensieri. E dove la caduta è calcolabile serve metodo, esperienza e attrezzi, simili a matite, serve un’istruzione non necessariamente accademica, un percorso personale. Questo sembra reclamare Scorzato da autodidatta: un proprio cammino, con un proprio passo e propri tempi, ma altresì con grande forza di volontà.

La delicatezza nell’uso delle matite imbroglia, suggerisce una perplessità tecnica e cromatica, un astenersi dall’osare un fuori schema, una preferenza per un terreno connaturato che è palesemente anche vissuto reale dell’artista. La neve parla delle sue imprese, delle sue scalate, e delle sue conquiste. Parla di fatica e devozione per raggiungere obiettivi, parla di imprese con compagni di viaggio che ognun con il suo passo son rimasti indietro o hanno proseguito, parla di sentieri di montagna e di vita. Ed è li nei suoi soggetti, in particolare nell’occhio che deve soddisfare, nel volto, fra le pieghe dell’abito che si sente la voce grossa, spessa e potente, così come si fa il tratto. In contrasto con le esili sfumature i soggetti così carichi parlano, eccome se parlano! Gridano pensieri solo suggeriti, sapientemente tradotti in messaggio da un artista che nonostante l’età gioca come un fanciullo. Mescola un mazzo consumato di sogni e ricordi, odora di vissuto e contiene facce e luoghi anche solo raccontati. Pesca una carta e la cala nel mondo senza pensieri. In tempi sospetti potrei essere entrata pure io in quel suo strano mazzo e ritrovarmi mio malgrado completamente sradicata in una nuova dimora. E ciò potrebbe capitare a chiunque. Imprevedibile e appassionante.

E dove finisce il mondo di Scorzato allora? Fra le nuvole? In mezzo alle stelle alpine? Lo spazio è dunque limite come a detta degli antichi? Riflettendo non credo che la sagoma di una montagna infondo, possa impedire ad un foglio di divenire. Non finisce il mondo dunque, se il mondo reale è confuso con il mondo immaginario. E fra questi mondi, pur senza colori trovo sia l’emozione del fanciullo che il vissuto dell’anziano, trovo una poetica d’altri tempi ancora molto attuale, una bellezza fruibile a chiunque sprigionarsi potente e romantica.


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