Dino Ales

  Esiste, come è stato scritto, il disagio della civiltà e, cioè, questo sentirsi dell'uomo come schiacciato, sopravanzato dalle stesse cose che egli ha creato, siano esse processi economici, o strutture sociali, o condizionamenti di ogni tipo.
  E' disagio provocato proprio dalla civiltà la perdita della identità e, cioè, quell'universo fatto di storia, cultura, tradizioni, abitudini, territorio, relazioni: un mondo intero, dentro il quale ci era facile percorrere ogni via, perchè a noi conosciuta, o vivere ogni segmento della nostra vita, perchè in qualche modo somigliante o non dissimile del tutto all'attimo che lo aveva preceduto.
  Maria Salmeri Marchese è una artista che attraverso la sua ricerca pittorica ci indica come sfuggire a questo disagio, ritessendo, tela dopo tela, quel mondo che altrimenti il furioso scorrere del tempo, il troppo rapido incalzare delle attualità cancellerebbe: un mondo fatto di affetti, dolci sentimenti, memoria trepida di una vita trascorsa eppure presente, dentro la quale  la pittrice fruga, ma senza complicazioni esistenziali, senza ansia o angoscia; forse perchè ansie ed angosce, appunto, riesce a placidare, ad addolcire di una temperatura poetica insolita, che a me sembra il risultato maggiore della sua fatica di pittrice.
  Il respiro lirico che in certo senso sorregge le sue composizioni pittoriche si carica spesso di contenuti e di significati "altri": i paesaggi e le campagne, così come i personaggi, siano essi i venditori di ricci, o i mangiatori di quel frutto in un altra composizione carica di serena allegria, o il tamburinaio per le strade del paese, o la bambina del cappello giallo, con dietro il racconto tessuto dalla edera variegata, oppure gli innamorati in una casa di campagna e perfino gli uomini sparsi per i campi con la doppietta dei cacciatori a tracolla, esprimono non soltanto l'intima sostanza umana dell'artista, ma discoprono, soprattutto, i valori di un impegno virtuoso e profondo.
  Sono motivi, i suoi, esremamente semplici, filtrati da una sensibilità che pur rispetta il dato reale, naturalistico, ma, sovente, sembra ripercorrere
sulle ali vibratili del sogno, il filo di una memoria: la memoria, più che degli accadimenti, dei sentimenti.
  E così figure e paesaggi vengono proposti in una figuratività che talvolta conosce anche una insolita accensione dei colori, una citazione, quasi, di
quella solarità mediterranea che contraddistingue gran parte della figuratività isolana e meridionale, e non soltanto di quella contemporanea,
quasi una spia di quella che è la nostra tensione dei sensi, ma anche del nostro amore per  il mondo, della gioia di vivere che in misterioso, insondabile connubio con la disperante malinconia, contraddistingue le genti del sud.
  Eppure in Maria Salmeri traspare il limite, volontariamente imposto, che disciplina l'irruenza del sentimento e, quindi, i toni del suo racconto: la sua è una figurazione immune da alterazioni, poichè non proviene da una personalità prevaricante e distruttiva ma, al contrario, piena di sereno equilibrio.
  Un equilibrio che nasce, ci par di capire, anche da quel dolce ma attento, meditato indugiare nel paesaggio, nelle luminose atmosfere della campagna siciliana, tra i segreti palpiti della natura che a questa sua vigile, amorosa, delicata osservatrice restituisce amore, delicati accenti, poesia e, per l'appunto, quel sereno equilibrio che ci sembrava or ora dover cogliere tra le pieghe delle sue pennellate. I suoi fiori, ad esempio, è stato detto, non sono ovvii, ma densi di significati: anche se costituiscono episodi, accuratamente scelti per il suo raccontare e descrivere, vi è in essi tutta intera l'emozione vibrante per il mondo nel quale sono stati colti e, insieme, il suo mondo interiore, la sua stessa anima, nella quale è racchiusa anche l'emozione provata quando quel fiore le fu donato, o l'amoroso intento con cui colse quell'altro che poi avrebbe donato.
  Oltretutto, però, la Salmeri rimane una pittrice d'istinto, lontana non soltanto da certa problematicità che ha condizionato finora, particolarmente negli ultimi decenni, buona parte della cultura figurativa, anche nostrana, ma anche dalla facile e stucchevole illustrazione: la sua vena fabulistica è espressione di sentimenti incontaminati, esaltazione di bellezza, la sua pittura nasce dal pennello e dal cuore insieme.
  Che, se un impegno intellettuale denota o sottintende, esso, come dicevamo all'inizio, coincide con quella più o meno consapevole ricerca di un varco per uscire dalla morsa dei miti illusori della società contemporanea, l'apporto di un contributo di moralità al nostro caotico esistere. Un contributo che non è da poco, se si considera che proviene da una pittrice solitaria e inerme, nel senso che non appartiene a nessuna milizia o corrente, più o meno impegnata.
  Se l'immaginazione è una dote, anzi la dote fondamentale di una pittrice come Maria Salmeri Marchese, la sua non è una immaginazione che elude o esclude la realtà, la racconta, la partecipa agli altri in un commosso ed amorevole afflato, anche se di essa preferisce il versante lirico, suscitatore di emozioni, di sentimenti: forse una scelta, questa, che oltre che rispondere ad un suo personale istinto, risponde anche al bisogno di purezza che ognuno di noi sente e che non vuol perdere, così come non vogliamo del tutto perdere l'incanto di sentirci talvolta ancora fanciulli o, se preferite, creature di Dio
 
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