Vittorio Sgarbi

C’è un fattore che più di altri mi sembra degno di nota nella pittura di Mariella Capomolla, improntata su una semplicità, di tecnica e di rappresentazione, che non è incapacità di concepire registri comunicativi più articolati, ma, piuttosto, modulo espressivo che da una parte intende servirsi di un linguaggio di immediato riconoscimento, tale da non dover accertare la conoscenza di alcun presupposto culturale in quanti guardano le sue opere, dall’altra vuole preservare al massimo la schiettezza dell’emozione originaria da cui prende fondamento l’impulso creativo. Alludo al ruolo che molte opere della Capomolla viene svolto da una narrazione che potremmo dire silente, in quanto allusa per accenni, invece che dichiarata esplicitamente. Pensiamo, per esempio, a opere come “Le tre valigie” o anche “Il telefono rosso” che pure ha dei seguiti o degli antecedenti, a seconda di come li si interpreta, nella produzione dell’artista calabrese: sono quegli oggetti mai in primo piano, i veri protagonisti della scena, a scapito delle persone che pretenderebbero di catalizzare maggiore attenzione. E non per quello che sono o fanno, ma per la storia che potrebbero raccontare e non raccontano, costringendoci a supplire con la nostra immaginazione alla loro reticenza. Cosa mai è stato sentito, in quel telefono, per far cadere in uno stato di disperazione fosse anche momentaneo? Chi ah parlato, dall’altra parte della cornetta, o chi non lo ha fatto? E quelle valigie alla stazione con la donna in vestito da sera, le gambe in bella vista e il bicchiere da brindisi, dicono di qualcosa che è finito o che sta iniziando, di un arrivo o di una fuga? Inutile chiedere al dipinto, dobbiamo crearcela noi, la storia. Così come, nel copiare la “Giuditta” e la serva Abra di Artemisia Gentileschi, la Capomolla ci fa capire che la storia non è affatto conclusa, sta cominciando: la testa di Oloferne, confusa nella cesta, come un panno qualsiasi è ormai il passato, ora c’è una nuova avventura da affrontare, con le due intrepide, spietate donne, che rafforzano la complicità per fuggire e superare nuovamente le angherie maschili. Spetta a noi continuare, anche liberamente, irrispettosi del dettato biblico: e questo, ci dice Mariella Capomolla, il bello di ogni storia, se lo si sa fare funzionare.

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