MIMMO COLETTI

Fiori spontanei delle corrugate pianure di Marte che hanno la vivacità del sentimento, l’essenza rara della ricerca, il profumo ritrovato del desiderio. Così Monia diventa una perfetta dispensatrice di illusioni, la guida di una nave verso il sole e, oltre, alla conquista di costellazioni ignote. E’ il suo percorso, la coscienza del dipingere, la voglia di esprimere le prospettive della sua esistenza che l’hanno guidata al punto attuale, dal mosaico non figurativo degli esordi e alle strisce germoglianti di prati, a lamelle cromatiche ricche di battiti, segno di un volo con gli occhi della mente in direzione di una realtà propria. E poi, questione di mesi, la pittrice insiste nell’esaltare la distesa cromatica, l’esplosione da violenta a carezzevole di una tavolozza che recita la sua parte assieme a innesti materici. Caldi i colori, il grido del rosso, la sacralità del giallo, mai infido e traditore ma qui simbolo del sole di Provenza, le vibrazioni del verde e l’eterea presenza dell’oro su cui ci si può sbizzarrire in mille richiami da Bisanzio agli sfondi trecenteschi forse senza mai trovare la soluzione giusta d’interpretazione che è e rimane personale. Preziosità, certamente. Ma anche, nel rispetto quasi lirico di una razionalità cantabile e di un rigore che confluisce nella musica del pensiero, le scacchiere di costruzioni, gli enigmi di architetture astratte che sono simbolo e parola non scritta di una ricerca sempre in equilibrio tra le pietre miliari del concetto e dell’istinto, della logica e insieme della libertà totale. Nasce così quel giardino segreto di idee che altri, molti altri, inseguono senza mai riuscire a entrarvi. Tecniche miste, superfici diverse, geometrie instabili. Ma su tutto un gusto  fatto di mille voci, anche dissonanti, e di labirinti intricati da cui solo chi è felice può uscire. La verità di Monia Romanelli è un indugiare con innegabile compiacimento tra vibrazioni dell’animo e silenzi colmi di una pioggia di note.
m.c.



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