Claudio Alessandri (Critico D’Arte)

Paolo Camporota – “Un urlo a risvegliare le coscienze”

Negare ciò che ho provato alla prima osservazione delle opere pittoriche di Paolo Camporota, equivarrebbe negare a me stesso, forse per pudicizia o malinteso scetticismo, una sensazione di doloroso disagio, un richiamo improvviso, ma non inaspettato, ad una realtà che vigliaccamente si cerca di occultare in un cantuccio segreto della nostra mente, come colui che sa di essere complice di misfatti inenarrabili e ricorre all’oblio per chetare gli impulsi di un rimorso che, prima o poi, tornerà a farsi vivo distruggendoci nell’anima e nel corpo.

Questo artista, per naturale tendenza , fa gridare ai personaggi dipinti con cromie vibranti a sottolineare ancor più la forza del gesto, l’ultima invocazione e poi l’insulto verso coloro e sono tanti, che hanno condannato la gran parte dell’umanità a soffrire ingiustizie e soprusi che annullano ogni speranza di vita serena.

Ciò che rende quei visi stravolti da un urlo “estremo” è la consapevolezza che sotto il pesante macigno del sopruso, non è solo lui, ma l’intera umanità vittima della logica perversa del “business”, del “demonio” denaro.

Già in precedenza, ed anche attualmente, esistono esempi grandiosi di artisti che, giunti al limite della sopportazione, fanno lanciare quell’urlo disperato ai loro personaggi che risuona per oceani e continenti, non desta le coscienze, ma ancor più l’avidità di mercanti d’arte che, aridi, colgono solamente, ancora ed ancora, l’utilità economica e non sentimentale di quell’espressione di disperato dolore, non fisico, ma psicologico, incurabile perché non compreso o, ancor peggio, cagione di fastidio.

Quelle mascelle dilatate che evidenziano chiostre di denti famelici, sono più attinenti a delle belve straziate dai morsi delle pallottole delinquenziali che ad esseri umani che di umano non hanno più alcuna sembianza.

Qualche volta, quando per un attimo, abbandoniamo il caos per contorcerci in una realtà parossistica che ci impedisce di immedesimarci nel vivere del nostro prossimo che, passandoci accanto, sfiora appena i nostri sensi e ce ne rendiamo consci perlopiù solo quando avvertiamo un brivido di spiacevole irritazione, ignorando la bellezza, l’eleganza del passo leggero di una donna che accarezza appena la via nel procedere verso la “follia” di un amore sognato o, forse sperato; lo sguardo di un bimbo, puro, sereno che non può o non vuole vedere il futuro che lo attende e spera solamente l’amore della sua mamma ed a quello si affida; una coppia di anziani che siedono su di una panchina di un parco, uno accanto all’altro senza parlare, stringendosi le mani e con quell’intimo contatto trasmettersi, fremiti di una lunga esistenza trascorsa fra gioie, dolori e delusioni ed ora sembrano attendere la fine ineluttabile, è solo una nostra sensazione dettata da un pensiero logico che è la negazione del progredire nell’idea di altri giorni, di altri eventi felici.

Qualche volta può accadere di arrestare il tripudio dei nostri sentimenti confusi ed osservare l’umanità che ci circonda e sbalorditi constatare che non siamo soli in questo mondo, ecco apparirci il vero volto di colui o colei che ci sta accanto, su quei visi leggiamo gioia, tristezza, dolore o speranza, quella è la normalità, la constatazione banale, l’eccezionale si verifica quando su un volto leggiamo, non uno, ma tutti questi sentimenti in rapido evolversi, allora e solo allora entriamo in un mondo che non conosciamo e che avremmo preferito non conoscere, la pazzia, quello stato di vita non vita che contiene l’essenza stessa della vita ed il suo esatto contrario.

Confesso che nell’osservare le opere di Paolo Camporota ho provato un sentimento di grande ammirazione per un’artista che riesce a coniugare arte, estremamente attinente ai canoni del dipingere con tecnica tradizionale, ma non scolastica e contenuti nell’emotività coinvolgente, ignorando la piacevolezza visiva, privilegiando i messaggi che invitano alla riflessione smentendo la notissima teoria che l’arte in generale, altro non è che una scimmietta dispettosa che si diverte a fare il verso a ciò che cade entro il suo campo visivo, siano figure umane, oggetti o incantevoli paesaggi, illudendo il prossimo che ciò che è dipinto e che osserva con ammirazione, altro non è che la copiatura mal riprodotta di una realtà ben più affascinante di qualche colore ben disposto su di una tela.

Paolo è una vivente ed evidente smentita a questa teoria, tanto comoda per i detrattori dell’arte comunque espressa, ciò è palese nei fenicotteri che nel loro elegante volo “attraversano”cieli di una bellezza cromatica, forse pari a quella naturale, certamente non inferiore .

Se avessi provato le stesse esaltanti sensazioni che ho avvertito osservando i dipinti di Paolo, nelle migliaia di dipinti che sono stato chiamato a giudicare, forse sarei stato meno severo nel giudizio all’imperante fuga verso un sedicente e a volte incomprensibile informale.

Claudio Alessandri (Critico D’Arte)

Palermo, 11.07.07

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