Giorgio Barberis

   Figlio di questo nostro martoriato presente, ma interamente immerso nel proprio tempo, Rasero ha trovato nei prodromi ottocenteschi la ribellione alla fredda razionalità dell’intelligenza e si è avviato verso le teorie di un Soren Kierkegaard per diventare artista-seduttore attraverso espressioni ironiche, liliali, e malinconiche al tempo stesso.

   Il tutto cogliendo l’attimo fuggente e cristallizzando nell’eternità delle sue opere il vulcano attivo della vita che scorre per veicolare il messaggio recondito di una personalissima ricerca. Perché un buon pittore sa come comporre il proprio disegno – sottolineava Susan Woodford – sa usare sottilmente le sfumature dei colori o creare decise dissonanze tonali, ed è conscio della tradizione nella sua forza e nei suoi limiti. E in un’epoca in cui non sono più il senso del bello o la profondità di un messaggio a rendere significativa un’opera d’arte, Piero Rasero sa ancora consegnarci il chiaro, nitido, sentimentale messaggio di una collina autunnale, di una silente marina o di una sonnolenta piana: con singolare schiettezza, grande intimismo ed inconfondibile proprietà di linguaggio.


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