Roma Universalis. L’impero e la dinastia venuta dall’Africa

L'esposizione "Roma Universalis. L’impero e la dinastia venuta dall’Africa" presenta un centinaio di reperti provenienti da musei italiani e stranieri, coinvolgendo oltre all'Anfiteatro Flavio anche il Palatino e i Fori in 7 aree finora chiuse al pubblico.

ROMA - Giovedì 15 novembre 2018 inaugura presso il Colosseo di Roma la grande mostra che ripercorre la storia dell’ultima importante famiglia imperiale: i Severi. Roma Universalis. L’impero e la dinastia venuta dall’Africa affronta i quarant’anni, dal 193 al 235 d.C., della dinastia dei Severi e delle loro grandi riforme.

La direttrice del Parco archeologico del Colosseo Alfonsina Russo ricorda come la mostra nasca con l’obbiettivo di «ampliare l’offerta culturale del Parco così da coinvolgere non solo i turisti ma anche i residenti, nel passato della loro città». La conferenza stampa si svolge all’interno dell’anfiteatro più famoso al mondo e l’ideatrice della mostra Clementina Panella riflette emozionata «non avrei mai creduto possibile nella mia vita parlare nella fossa dei leoni».

L’esposizione si articola in tre grandi sezioni che coinvolgono il Colosseo, il Palatino – storica residenza dei Severi – e il Foro Romano. Il primo nucleo narrativo si apre nella galleria del II ordine del Colosseo dove sono presentati circa cento tra opere e reperti archeologici. Il percorso si sviluppa in quattro diverse sezioni che trattano gli sviluppi storico-politici, la riforma militare e delle province – di straordinaria importanza – la società, la cultura, le religioni e lo spazio urbano. In apertura troviamo i busti di Settimio Severo e Giulia Domna, due degli imperatori più importanti, a cui seguono le raffigurazioni dell’intera dinastia in un susseguirsi di ritratti marmorei datati tra il 193 e il 210 d.C. Si attraversano le origini della stirpe Severa con le riproduzioni di Leptis Magna in Libia, ed Emesa in Siria, città natali di Settimio Severo e Giulia Domna. A questo proposito ricorda Panella «abbiamo tentato di creare una sorta di osmosi tra il presente in cui viviamo e un passato in cui affondiamo tutte le nostre radici», e Russo aggiunge: «Leptis Magna e Emesa furono luoghi oggetti di violenze per il loro fortissimo senso identitario e riflettendo sulla Libia e sulla Siria ci accorgiamo che questo discorso sia ancora molto attuale». Su questa scia prosegue l’esposizione di «straordinaria attualità per le tematiche trattate» – conferma un altro dei curatori della mostra Alessandro D’Alessio. Tra i temi, l’integrazione culturale, sugellata dalla grandissima riforma, emessa nel 212 d.C. da Caracalla, che è la costitutio antoniana la quale concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’impero, proclamando un’omogeneità culturale che eliminò, quasi del tutto, la distinzione tra vinti e vincitori. È il periodo più cosmopolita dell’impero romano, il coronamento di un processo plurisecolare di conquista dei diritti civili.

Diversi pezzi esposti nel percorso sono di recente scoperta e restaurati per l’occasione; tra i più importanti la Forma Urbis Romae – mappa catastale della città di Roma in scala 1:240, tutt’ora di estrema importanza per lo studio topografico della capitale – pianta redatta tra il 203 e il 209 d.C. affissa presso il Templum Pacis, che poi diverrà la chiesa dei SS. Cosma e Damiano. I frammenti esposti in mostra sono poco più del 10% del totale e tutti gli studiosi concordano nel ritenerlo un capolavoro di accuratezza tecnica in campo topografico. Nell’ultima sezione troviamo poi, l’esplosione artistica artigiana; dai vetri finemente lavorati, alle ceramiche tunisine fino agli argenti conservati al Metropolitan Museum of Art.

Il percorso a tappe prosegue presso il Palatino, dove sono visibili per la prima volta le Terme dell’imperatore Elagabalo. Qui, è venuto alla luce un ciclo statuario composto di busti e ritratti marmorei. In un percorso che comprende quasi due ettari di Palatino si giunge dunque allo Stadio e all’adiacente Sala dei Capitelli, ampiamente decorata, dal soffitto a cassettoni stuccato.

Per concludere, la visita al Foro Romano che, un’altra curatrice, Rossella Rea – responsabile del Colosseo – ci racconta: «abbiamo ricomposto il percorso tra il foro e il Templum Pacis, aprendo per l’occasione il vicus, tra i più antichi percorsi di Roma, che collegava il quartiere “delle Carine” con l’Esquilino». Giungendo al Templum Pacis, di cui è visibile l’opus sectile pavimentale – appena restaurato, si affonda nelle radici della storia. Il tempio, andato a fuoco nel 192 d.C., fu ricostruito da Settimio Severo e in una sala adiacente all’aula di culto fu collocata proprio la Forma Urbis Romae.

La mostra ha l’enorme potenzialità di mettere in evidenza il legame tra presente e passato, riproponendo in chiave storica tutta una serie di tematiche che rimangono tutt’ora di grande attualità. I problemi economici affrontati dai Severi e le conseguenti riforme; le guerre e la difesa di quei confini orientali che tutt’ora rimangono frontiere di scontri. Il ruolo delle donne poi, d’estrema importanza; infatti, non vi fu mai nessuna dinastia che riservò tanto potere alle donne come quello riservato alle principesse siriane. E ancora, la religione, la tolleranza, la commistione di più di sette credi religiosi che furono amministrati con un progetto di pace e integrazione culturale. Come riflette il curatore Alessandro D’Alessio: «in mostra la rappresentazione dell’ultimo processo di globalizzazione dell’età classica». Un’eredità forte e duratura, proveniente dall’Africa, che è d’estrema importanza conoscere.

Articolo pubblicato su: http://www.artemagazine.it/mostre/item/8078-l-impero-e-la-dinastia-dei-severi-in-mostra-al-colosseo

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