Andrea Diprè

Valter Fiorani, di persona, come nelle sue opere, mostra di non aver mai dubitato del carattere autentico della pittura. Egli non è affatto polemico contro il Modernismo e le post-avanguardie perché non si pone neppure il problema della loro esistenza, non ha dubbi sul fatto che la pittura non possa essere sprecata nella gratuità. Probabilmente si stupisce che ciò che gli sembra naturale oggi sia così alla moda, e che da qualche tempo si sia cominciato a proporlo come una nuova tendenza. Per lui la pittura non ha tendenza, è un linguaggio che consente di esprimere affetti, emozioni, pensieri. L’apparente oggettività della visione, immobile, l’esecuzione impeccabile, sono fattori che richiedono riflessione, che ci fanno, pur lentamente e coscientemente, entrare nel suo cuore. Le opere di Valter Fiorani sono stati d’animo, sono il prodotto di una mente che ha sottoposto all’egida dell’ideale una passione insaziabile, e con ciò l’ha preservata da ogni volgarità, rendendola, se possibile, ancor più distillata e tormentosa. Lungo discorso sarebbe quello dell’erotismo in un’arte contemporanea che configura i propri aneliti e le proprie suggestioni esattamente con Fiorani. Con la pittura del passato, è facile. La sensualità di Giorgione; la voracità di Tiziano, gli spasimi di Correggio; l’opulenza di Rubens; il segreto di Rembrandt; l’odore di garçonnier e di postribolo di tutto il settecento… Nella lontananza del mito, prosciugato quindi di dirette implicazioni realistiche, il desiderio è una delle rapsodiche, avvolgenti molle dell’arte che ci sta alle spalle. L’argomento ha una sua importanza. Nella fantasia contemporanea, l’erotismo, inteso come semplice e appagante desiderio dei sensi, è rarissimo. Nel momento in cui perde le garanzie della religione e della cultura classica, l’uomo d’Occidente sembra dimettere il “basico istinto” per la seduzione femminile. Non è erotico l’Impressionismo, né il Cubismo, né il Futurismo, né la Metafisica, né il Surrealismo, né l’Astrattismo, né l’Informale, né la Pop Art, e tantomeno la pittura più vicina a noi. Quando il sesso entra da protagonista nella creazione come in Klimt, in Schiele o in Dix, lo fa per esprimere torture e tragedie. Ciò che rende così forte e distinto Valter Fiorani è, invece, il suo porsi come avido degustatore di eros naturale senza bisogno di rivolgersi a fantasie ritenute fredde e metodiche, formalisticamente intellettualizzate. Occorre soppesare l’implacabile plasticità delle modelle dell’artista nato a Faenza e abbandonarsi con cuore libero alla prolungata sensualità con cui si distende il loro ventre, al languore con cui esso si apre nella violenza antropofaga delle cosce, alla maledizione perennemente esogena dei seni, all’energia di un’anca che si inalbera per seduzione e pigri richiami. Evidentemente, da un paio di secoli l’espressione dell’Eros è più repressa che dichiarata, più tormentosa che felice, più vaneggiata che realizzata in corpore vili. Prendendo atto di un sintomo che è spia certa di malessere, lasciamo ad altri la spiegazione di un mistero che non è stato esattamente identificato neppure dai più celebri psicoanalisti del nostro tempo. Ma assolviamo il grande Fiorani, vivo, sanissimo proprio per la sua impossibilità di essere “normale”: ciò che, quasi sempre, significa scollacciato, cafone e, per ciò stesso, impotente a degustare i più scelti piaceri della vita e della bellezza. Andrea Diprè
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