Se mi vedesse Mondrian 2

di Rino Capone

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Descrizione

Nel libro “Io e Mondrian” spiego perché, in quel tratto del mio percorso artistico sviluppatosi sul versante dell’astrattismo geometrico, sono partito dalle rigorose conclusioni estetiche e filosofiche del Maestro olandese per allargare arbitrariamente il ventaglio applicativo dello stile unico e inconfondibile che lo ha reso famoso nel mondo.

Ho intitolato alcune tele “Se mi vedesse Mondrian”, affidando ai puntini sospensivi la certissima ipotesi di una sua risentita e severa reazione per il mio comportamento di allievo indisciplinato o disubbidiente.

Ho letto tutto quello che lui ha scritto e molto di quanto hanno scritto sulla sua produzione artistica. Ho sempre considerato la sua pittura un punto di svolta fondamentale nella storia dell’arte, anche se solo nel 2011 ho potuto vedere da vicino le sue opere (L’armonia perfetta, Vittoriano – Roma). Sono stato affascinato fin dagli anni dell’Università da quello che definisco lo standard Mondrian, da lui introdotto nel 1921 con la prima delle composizioni in “rosso, giallo e blu”. Si tratta di uno standard elementare e rivoluzionario, immediatamente accattivante, ripreso nel corso degli anni dagli ambienti della moda (a partire da Yves Saint Laurent) e ampiamente utilizzato nella progettazione architettonica, nella grafica pubblicitaria e nel disegno industriale.

Gli sono molto grato: dalle sue griglie nere ho sviluppato varie tipologie di sotto-griglie; dai ‘suoi’ rettangoli e dalle composizioni delle sue losanghe ho preso le mosse per creare figure geometriche regolari, irregolari e improbabili. Mi ha fatto innamorare dei colori primari stesi in maniera uniforme e delle aree monocromatiche delimitate dalle linee perimetrali. Ho esteso questa sua intuizione di grande impatto estetico alla più ampia gamma cromatica possibile. Contemporaneamente, ho infranto il tabù della ortogonalità da lui consacrata alla rappresentazione dell’Universale, introducendo trame di linee pluridirezionali, per esprimere semplicemente il particolare.

Certamente la mia è una (fin troppo) libera interpretazione dell’insegnamento del grande Maestro olandese; ma è un dato di fatto che egli, negli ultimi lavori (New York city, Broadway Boogie-Woogie, l’incompiuto Victory Boogie-Woogie), a contatto con il mondo americano-statunitense del futuro, è andato oltre se stesso, entrando in una dimensione dove le linee nere diventano pluricolorate e dove alla staticità di scontate simmetrie subentra il dinamismo di un ritmo metropolitano, quasi musicale. In tale direzione, a modo mio, ho deciso di seguirlo.


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