quadri in vendita online - L'ITALIA DICE NO AL FASCISMO! MAI DIMENTICARE  _DARIO ARKEL

Descrizione

Senato della Repubblica

La Costituzione

Disposizioni transitorie e finali

XII

E` vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.

In deroga all'articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall'entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista.

Fonte: 

http://www.senato.it/istituzione/la-costituzione/disposizioni-transitorie-e-finali/xii#


DAVIDE CONTI


GLI UOMINI DI MUSSOLINI


PREFETTI, QUESTORI E CRIMINALI DI GUERRA 


DAL FASCISMO ALLA REPUBBLICA ITALIANA


Einaudi ,2018 


Estratto


Introduzione


Nel corso degli ultimi anni la storiografia si è più volte, e in modo approfondito, occupata della questione dei crimini di guerra italiani all’estero durante la Seconda guerra mondiale e delle ragioni storiche e politiche che resero possibile una sostanziale impunità per i responsabili.Meno indagati sono stati i destini, le carriere e le funzioni svolte dai «presunti» (in quanto mai processati e perciò giuridicamente non ascrivibili nella categoria dei «colpevoli») criminali di guerra nella Repubblica democratica e antifascista.

Le biografie pubbliche dei militari italiani rappresentate nel testo sono segnate e connesse tra loro da una comune provenienza ovvero tutti operarono, con funzioni di alto profilo, in seno all’esercito o agli apparati di forza del fascismo nel quadro della disposizione della politica imperiale del regime, prima e durante la Seconda guerra mondiale.

La gran parte di loro, non tutti, vennero accusati dalla Jugoslavia, dalla Grecia, dall’Albania, dalla Francia e dagli angloamericani di crimini di guerra al termine del conflitto. Nessuno venne 

mai processato in Italia o effettivamente epurato, nessuno fu mai estradato all’estero o giudicato da tribunali internazionali, tutti furono reinseriti negli apparati dello Stato postfascista con 

ruoli di primo piano, divenendo questori, prefetti, capi dei servizi segreti, deputati 

e ministri della neonata Repubblica democratica. In quest’ottica, dunque, le loro biografie non rappresentano 

«vicende personali» o «casi atipici», quanto piuttosto elementi 

«visivi» di un segmento del complessivo processo di continuità 

dello Stato caratterizzato dalla reimmissione e dal reimpiego nei 

gangli istituzionali di un personale politico e militare non soltanto organico al Ventennio fascista ma il cui nome, nella maggior parte dei casi, era stato inserito nelle liste «War Crimes» delle 

Nazioni Unite.

La ricostruzione delle biografie postbelliche e delle funzioni 

svolte nel dopoguerra dagli ispettori di polizia Ettore Messana e Ciro Verdiani 

o dal colonnello dei carabinieri Ugo Luca; dai generali Giovanni Messe, Taddeo Orlando, Adolfo Infante, Gastone 

Gambara e Pirzio Biroli; dai prefetti Giovanni Ravalli e Temistocle 

Testa; dal capo della squadra mobile 

di Roma Rosario Barranco; dal ministro Achille Marazza e da Giuseppe Pièche sino al generale Mario Roatta (clamorosamente fuggito da Roma durante il suo processo) divengono un vettore utile e significativo per analizzare e ripercorrere alcuni tra i principali eventi del dopoguerra italiano che segnarono 

gli anni della transizione alla democrazia: le tensioni istituzionali filomonarchiche dopo il referendum del 2 giugno 1946; la strage di Portella della Ginestra e il caso del bandito Giuliano; la riorganizzazione degli apparati di forza dello Stato in 

chiave anticomunista negli anni duri .della Guerra fredda 1947-55 e la nascita di strutture pubbliche e gruppi privati i cui membri saranno coinvolti in progetti eversivi, quali il «golpe Borghese» del 1970 o il «golpe bianco» di Edgardo Sogno del 1974.

Dopo oltre settant’anni, la questione dei crimini di guerra italiani e la sua stretta connessione alla profondità e al profilo della continuità dello Stato non pone al centro della riflessione la portata giudiziaria delle vicende né d’altro canto – come scrive Pavone – deve e vuole essere «un invito a rifluire nella storiografia dei delusi», disconoscendo 

i profondi mutamenti intervenuti in Italia 

dalla fine del secondo conflitto mondiale. Proprio perché «continuità non è sinonimo di immobilismo», 

analizzarne la dinamica e l’incidenza sul processo e sulle modalità di cesura intervenute nella transizione dall’assetto monarchicofascista a quello repubblicano-democratico fornisce una chiave di lettura di rilievo per l’interpretazione dello sviluppo storico della democrazia in Italia e per l’individuazione dei punti di rottura e 

di quelli di persistenza tra le due fasi.

Le biografie qui selezionate costituiscono in questo senso un 

elemento importante, in quanto personaggi che avevano ricoperto 

ruoli e funzioni centrali nell’apparato repressivo fascista o ai vertici 

del regio esercito vennero scelti dai governi della Repubblica nel 

quadro della ricostruzione dei servizi 

di sicurezza e dei dispositivi per il controllo dell’ordine pubblico caratterizzati dal nuovo contesto geopolitico della Guerra fredda. 

Una divisione che segnò il punto di frattura non componibile dell’alleanza antifascista internazionale e la rottura 

in ambito nazionale italiano tra il processo di ricostruzione dello Stato e l’eredità della Resistenza rappresentata, 

sul piano costituente, dall’unità della classe dirigente antifascista.

Netto, in questo senso, il giudizio storico-politico espresso da 

Paolo Emilio Taviani: Quando si ruppe, dunque, l’unità resistenziale? Se si vuol scegliere una data scolastica si può indicare la primavera del ’47, quando De Gasperi costituí il Governo lasciando comunisti e socialisti all’opposizione. 

Innegabili segnali di rottura si erano tuttavia già manifestati fin dalla pri-

mavera del 1945 […] il motivo di fondo che spezzò l’unità della Resistenza 

fu la politica estera. Soltanto ed esclusivamente la politica estera […] le ragioni autentiche della spaccatura midella classe dirigente resistenziale all’indomani della liberazione […] Stanno tutte e unicamente nella politica estera. 

In questa prospettiva emerge l’aspetto centrale dello stretto nesso creatosi tra la natura del processo con cui si costruí il sistema dei partiti di massa e le forme e l’esito della transizione istituzionale e 

costituzionale in Italia. Su quest’ultima 

la «mancata Norimberga» esercitò un’influenza significativa, a causa dell’interconnessione tra i processi ai criminali di guerra italiani, quelli contro i militari tedeschi per i crimini commessi in Italia dopo l’8 settembre 1943 

e il consequenziale, a quel punto non eludibile, processo di epurazione interno che ne sarebbe derivato.

La linea incentrata su «ragion di Stato» 

e «interesse nazionale» fu impostata come una delle misure della transizione, incidendo profondamente sulla condotta della classe politica dirigente intorno al tema dell’eredità delle aggressioni fasciste ai Paesi stranieri. 

In questo modo il nesso tra impunità 

per i criminali di guerra e fallimento dell’epurazione trovò un ulteriore elemento di rafforzamento costituendo, di fatto, una delle basi della continuità dello Stato. La proiezione totalizzante della rottura dell’alleanza tra le 

potenze occidentali e il blocco orientale a guida sovietica ridefiní una nuova dualità di campi internazionali, che a differenza della .fase 1943-45 divise il fronte antifascista italiano determinando una prima crisi dell’impianto costituzionale della Repubblica e il cosiddetto «congelamento» di alcuni dei suoi istituti fondamentali come la Corte costituzionale, il Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro), 

il Csm (Consiglio superiore della magistratura), l’ordinamento regionale 

o il referendum, e rendendo possibile il mantenimento in vigore del «codice Rocco» e di molte altre leggi ereditate mmdal regime di Mussolini.

Tuttavia non sarebbe stato possibile affrontare il tema dell’eredità del fascismo su un piano esclusivamente giuridico, come d’altro canto dimostrò 

il caso della stessa Germania in cui, a fronte di alcuni grandi processi pubblici (quello di Ulm contro i gruppi operativi degli Eisantzgruppen; quello contro 

Adolf Eichmann in Israele nel 1961 e quello di Auschwitz del 1963), istruiti con l’intento di configurare il nazismo come «l’evento di riferimento negativo nella cultura della Bundesrepublik», quelle della continuità dello Stato e della mancata epurazione erano rimaste 

questioni aperte e visibili sul piano storico e politico-istituzionale. 

Nel 1965 Lelio Basso presentò in proposito un’indicativa ricognizione statistica sulla Rft (Repubblica federale tedesca) dell’Oveste sulla Ddr (Repubblica democratica tedesca) dell’Est. Dal maggio 1945 al dicembre 1964, nella zona d’influenza sovietica risultavano essere state processate 16572 persone per concorso in crimini 

di guerra con 12807 condanne e 1578 proscioglimenti, mentre erano 

stati sospesi per assenza, morte o amnistia (per reati con condanna 

inferiore a un anno) i procedimenti nei confronti di 2187 imputati. Delle 12807 condanne, 118 stabilirono la pena di morte, 231 quella dell’ergastolo e 5088 pene dai tre anni in su.

Nella Repubblica federale tedesca al 1º gennaio 1964 i processati erano 12 457, e fino al marzo 1965 vi erano state complessivamente 6100 condanne 

(9 a morte e 71 ergastoli) e 7000 tra 

assoluzioni, sospensioni o non celebrazione dei processi. 

Nel 1964 Otto Hunsche e Hermann Krumey, due dei principali collaboratori 

di Eichmann, erano stati il primo assolto e il secondo condannato a una pena lieve, mentre circa 1800 ex nazisti 

figuravano tra gli alti funzionari statali della Rft: 15 tra ministri 

e segretari di Stato; 100 generali e ammiragli; 828 alti magistrati, 

procuratori e giudici; 245 funzionari operanti presso ambasciate, 

consolati e uffici esteri; 297 alti funzionari di polizia e dell’Ufficio 

di difesa della Costituzione. Tra i casi 

più noti figuravano il sottosegretario alla Cancelleria Hans Globke, già estensore delle leggi razziali di Norimberga divenuto poi stretto collaboratore di 

Konrad Adenauer, e il ministro dei Rifugiati Theodor Oberländer.  

A loro si aggiungevano il segretario di Stato, ma già responsabile dei 

territori orientali occupati dai nazisti, Friedrich-Karl Vialon, il generale Heinz Trettner del Bundeswehr e il giudice Heinrich Lübke.


Fonte:  

https://www.einaudi.it/catalogo-libri/storia/storia-moderna/gli-uomini-di-mussolini-davide-conti-9788806239046/





DOMENICA 9 LUGLIO 2017


LE STRAGI IN ITALIA SONO 

OPERA DEI ROTHSCHILD


Ferdinando Imposimato :

''Il capo di Gladio andava a rendere conto all'ambasciatore americano in Italia ed era quello che manovrava i servizi segreti e forniva l'esplosivio, attraverso la NATO, per fare le stragi.

La Gladio era un'organizzazione di cui facevano parte esponenti dei servizi segreti americani ed italiani e si servivano di esponenti di Ordine Nuovo e dei mafiosi per le stragi.

Ordine Nuovo ha partecipato a diverse stragi fino alla strage di Via d'Amelio, lo facevano per conto di un GOVERNO MONDIALE INVISIBILE di cui faceva parte Bilderberg Le stragi di Capaci e d'Amelio sono opera di Gladio''


Fonte :


Ferdinando Imposimato - I 55 giorni che hanno cambiato l'Italia


Guarda il video 

https://youtube.com/watch?v=H6T_uMAEaPA&feature=share8




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