Biografia

“E chiese al vecchio dammi il pane, ho poco tempo e troppa fame, e chiese al vecchio dammi il vino, ho sete e sono un assassino.” In questo concetto si racchiude un’ideologia di fondo, una ragione di vita e un modo di guardare al mondo. L’amore incondizionato che coincide con la dimensione sociale e con quella individuale, ha invaso l’esistenza di Silvia Tufano, pedagogista specializzata nel recupero degli ultimi, tutti, e di chiunque calpesti la disagiata terra di quest’epoca difficile dove la solidarietà e l’amore per chi soffre, sembrano aver ceduto il testimone all’indifferenza e all’egoismo. L’artista poliedrica che ha ottenuto successi e riconoscimenti internazionali per disegni, romanzi e racconti, è prima di tutto una resistente battagliera che fin da giovanissima ha dichiarato guerra all’indigenza, al disagio e al razzismo. Studiando con passione ogni rivolo metodologico del recupero sociale attraverso la pedagogia e la filosofia, ha voluto anche studiare il Linguaggio dei Segni affinché potesse comunicare anche con coloro ai quali sfuggono tanto i rumori dell’assordante dimensione metropolitana, quanto il canto degli uccelli. Non si è risparmiata nel sacrificio, ben cosciente che l’esistenza può avere un senso solo se si lascia qualcosa nella propria dimensione empirica. La scelta di Silvia va in quella direzione. Poco più che ventenne, tra il carcere minorile di Nisida e il recupero dei ragazzi di Scampia e Secondigliano, inizia la sua prima guerra che ha come nemico la camorra. Nulla le ha impedito di proseguire quella memorabile battaglia, nemmeno le pesanti intimidazioni e minacce alle quali ha reagito con le armi più potenti di tutte: la coerenza e la perseveranza. Ma non solo! Ha portato cura e conforto a prostitute, barboni e ai suoi ragazzi in area penale, dando tutta se stessa per riportarli non sulla strada imposta dal sistema, ma su quella giusta. Quella strada che fa di ogni soggetto che si è perso, una persona vera, capace non solo di distinguere il bene dal male, ma soprattutto di comprendere cosa sia l’ingiustizia e come combatterla con le armi della libertà. Tutto questo in un contesto di arretratezza sistemica sul versante del welfare dove s’improvvisano educatori persone che molto spesso sono prive dei percorsi di studio indispensabili che, reclutati talvolta da soggetti imprenditoriali che hanno come obiettivo solo quello di far cassa, producono più danni che soluzioni. Un lavoro del genere non può non coincidere con la ragione della propria esistenza, al di là degli studi che si sostengono. Queste persone, diventate ormai delle mosche bianche, ci sono ancora seppur poche. Silvia è una di queste che, rifuggendo dalle luci della ribalta, ha scelto ad un certo punto di dover mostrare con strumenti diversi la sofferenza delle persone, attraverso le più svariate forme artistiche a sua disposizione. Mostrare cosa? La sofferenza che si manifesta nei modi più impensabili, utilizzando canali di trasmissione differenti e raramente alla portata della comprensione di quella leggera e asfissiante “maggioranza” di cui parla il suo cantautore preferito, De Andrè in “Smisurata preghiera”. Dietro il gesto di qualsiasi delitto compiuto nei confronti di se stessi, degli altri o delle cose in generale, c’è sempre quel granitico disagio sociale (che diventa individuale), che accompagna non più un frammento della vita di chi lo “sperimenta”, ma si trasforma in un ingombro fondante la personalità di chi lo vive quotidianamente per tutta l’esistenza. Saper riconoscere il disagio, capire la sua origine non significa giustificarlo, ma semmai poterlo affrontare curando le ferite che esso produce e Silvia ha speso forze ed energie munendosi dei migliori aghi e dei più resistenti fili per ricucirle, avendo cura anche che le cicatrici che restano non siano troppo visibili. Di questo ha bisogno il mondo, di smisurate preghiere urlate non dai predicatori, ma da chi sta in campo con i carri armati del proprio cuore e della propria interiorità. Saviano, il paese di origine di Silvia, ha riconosciuto l’estremo valore della sua cittadina conferendole un premio speciale nel gennaio 2016.


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